Non c’è riunione, consiglio di classe o colloquio con i genitori in cui non venga nominato, solitamente con toni avviliti e rassegnati: è il metodo di studio, il “grande assente”, di cui tanto i genitori quanto gli insegnanti lamentano la perenne mancanza negli studenti.
“I ragazzi non sanno studiare” è senza alcun dubbio una delle rimostranze più comuni nei dialoghi tra docenti e famiglie. E non è una falsità: i ragazzi oggi sono spesso molto deboli nello studio, complice anche un’ assai minore esposizione alla lettura e un utilizzo massiccio di Internet, dove le informazioni ricercate sono perlopiù del tipo “mordi e fuggi”.
Il problema è che solitamente il dibattito sul metodo di studio finisce con l’arenarsi su quello che è in realtà l’interrogativo fondamentale: a chi spetta il compito di insegnare ai ragazzi come si studia?
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Tendenzialmente, gli insegnanti tendono a delegare tale responsabilità alle famiglie, sostenendo che “si è sempre fatto così” e che “lo studio è qualcosa che si fa a casa”. D’altro canto, i genitori spingono affinché sia la scuola a farsi carico dello sviluppo del metodo di studio, dal momento che proprio la scuola è il luogo in cui gli alunni apprendono con l’aiuto dei professionisti del mestiere.
Chi ha ragione?
Personalmente, credo che l’unica soluzione possibile risieda in una rinnovata collaborazione tra scuola e famiglie.
Non è più realistico oggi, da parte degli insegnanti, pretendere che gli studenti sviluppino un metodo di studio autonomamente o con il supporto dei genitori: i ragazzi di oggi sono diversi rispetto ai loro insegnanti, rispondono a stimoli differenti e sono profondamente cambiati dal punto di vista delle competenze. Sono inoltre mutate anche le famiglie, spesso composte da adulti molto impegnati e sprovvisti del tempo necessario per sedersi alla scrivania dei figli e aiutarli nello studio, specialmente quello più laborioso e metodico.
D’altro canto, non è neppure pensabile che le famiglie si “defilino” completamente, dichiarandosi de-responsabilizzate. È pur vero infatti che lo studio è un’attività che necessita di impegno individuale e anche di ricerca e di tentativi, in quanto non esiste un solo e unico metodo di studio applicabile universalmente a tutti gli studenti: ognuno deve ricercare e sviluppare il proprio, sulla base delle proprie potenzialità individuali.
Nella mia esperienza, ho potuto notare i benefici derivanti dal dedicare alcune lezioni al mese specificamente allo studio: in tali occasioni, apro la versione digitale del libro di testo sulla LIM e insieme ai ragazzi leggo e ragiono sulla ricerca delle parole chiave e dei concetti fondamentali da sottolineare, evitando le ridondanze e le informazioni che possono essere tralasciate.
Dopo la lettura e la selezione, lavoriamo sulla schematizzazione delle informazioni importanti organizzandole in mappe o riassunti, e infine i ragazzi ricevono il compito di allenarsi all’esposizione dei contenuti a casa, insieme ai propri genitori.
In tal modo, le famiglie vengono coinvolte in maniera collaborativa, sotto la guida dell’insegnante, e ricevono l’incarico di portare a termine un lavoro di fatto già avviato in classe. Questo chiaramente non azzera i problemi, ma aiuta a creare un clima di dialogo e di reciproca collaborazione che è di beneficio per tutti, in primo luogo gli studenti.
Il lavoro sul metodo può essere sviluppato da tutti gli insegnanti e può essere applicato a tutte le diverse sfaccettature dello studio, ad esempio:
– come trarre le informazioni fondamentali da un testo;
– come trarre informazioni dagli elementi non testuali (schemi, grafici, cartine, disegni, dipinti …);
– come studiare con un video didattico;
– come svolgere una ricerca attingendo da fonti appropriate.
Se svolto in un’atmosfera collaborativa, credo che la “ricerca del metodo perduto” possa giungere a una felice conclusione e anche aiutare notevolmente il dialogo fra scuola e famiglia, che oggi come non mai necessita di ritrovare una nuova armonia